Storia del Santuario

La Chiesa “Maria SS. Dei Sette Dolori” volgarmente detta del Cannone, venne edificata nel 1670 circa, ad opera dalla nascente congregazione.

Il Santuario dell’Addolorata è ubicato nel Rabato, quartiere storico situato nell’estremità occidentale del colle di Girgenti in corrispondenza di una delle porte di Città: Porta Mazzara, poi Porta Garibaldi, oggi Porta Addolorata, anche se la porta fisicamente non esiste più da oltre un secolo.

Il patrimonio artistico della Chiesa è quindi strettamente legato alla storia dell’Arciconfraternita, degli uomini che l’hanno di volta in volta costituita, i principali, se non gli unici, committenti delle opere della Chiesa che ne rispecchiano dunque scelte e gusti.
E’ noto che gli aderenti ad una Confraternita si adoperavano per la costruzione e per l’abbellimento della propria sede, tramite l’apporto personale di donazioni ed elargizioni.
La Costruzione è ancorata ad uno sperone di tufo arenario, incorporando in essa una piccola e già preesistente edicola sacra.
Ben presto si accorsero che il costone conteneva nella sua profonditĂ  due cisterne di origine greca per la conservazione delle derrate alimentari.
Le adattarono ai loro usi, ne scavarono una terza ed ottennero tre cripte per dare degna sepoltura ai propri iscritti, successivamente seguendo uno schema tipico ormai del quartiere, il “Rabato” intagliarono la roccia creando una parete della nascente Chiesa, il resto è un vero e proprio corpo aggiunto.
Il volume si presenta semplice e privo di articolazioni, solo la sobria facciata barocca è stata oggetto d’attenzioni architettoniche.
E’ costituita da una cornice marcapiano, sormontata da tre edicole campanarie di più recente costruzione 1950.
L’interno di stile barocco, si presenta ad unica navata, l’abside, che si innesta direttamente nella navata per mezzo di un ampio arco trionfale è scavata interamente nella roccia.
La ricca decorazione di stucco è di manifattura Serpottiana, (Giacomo Serpotta), che occupa quasi interamente gli spazii e le pareti laterali e si raccorda con l’arco trionfale e l’arcone che sorregge il coretto.
Alla semplicità della volta ricostruita intorno gli anni 50’ corrisponde tutta la ricchezza delle pareti dove si innalzano dieci colonne tortili, su cui sono avviluppati tralci di vite, che sorreggono altrettanti angeli che ostentano i simboli della passione.
Gli angeli si rivolgono ai fedeli col chiaro intento di mostrar loro con a quali strumenti di tortura il Redentore ha manifestato il Suo Amore.
Angeli che ci invitano a guardare oltre i ristretti orizzonti della vita di ogni giorno, piante rigogliose, conchiglie dischiuse che indicano accoglienza e protezione materna.
Tutto rigorosamente bianco, candido, come la purezza di una Madre sempre Vergine. Forme rotondeggianti senza spigolosità perché tutto converga sul suo dolore, sul dolore perfetto: l’Addolorata.
Sulla Commissione degli stucchi non si hanno notizie certe, sappiamo però che un agrigentino, Onofrio Russo, fu assunto da Giacomo Serpotta nel novembre del 1704, e che abbia potuto eseguire la preziosa manifattura.
Nel luglio del 1862 viene nominato Confrate l’ingegnere Dionisio Sciascia, progettista in seguito del Teatro Regina Margherita, oggi Teatro Pirandello.
Nel 1889 lo stesso redige un progetto per la costruzione della nuova sacrestia, e delle cappelle gentilizie dell’Arciconfraternita presso il cimitero di Bonamorone di Agrigento.

Le Cripte

Le Cripte sottostanti il Santuario, in origine antiche cisterne greche, oggi sono adibite a piccolo museo della Confraternita stessa.
La prima Cripta è la più conosciuta, perché serviva come fondaco ad un maniscalco, l’ultimo rimasto ad Agrigento, Mastru Nò.
A lui si deve il colore nero di carbone che riveste il tufo.
La seconda è la più grande misura 9 m x 12 m, circolare, le pareti sono state rinforzate dopo la frana da 9 rampanti di ferro, alta 5 m, presenta tracce dell’antico intonaco.
La terza fatta scavare dalla nascente congregazione 1590, vi si accede dalla seconda superando un dislivello di 3,50 m, attraverso una scala.
Qui si può notare un sedile in muratura, un altare e il luogo di essiccamento dei cadaveri.
In merito non ci sono notizie certe sul rito funebre dei Confrati e le relative operazioni di sepoltura dei corpi.

La Statua

E’ senz’altro l’immagine sacra piu’ venerata dagli agrigentini.
Anche se l’opera lignea non ha grandi pregi artistici, non si può tuttavia negare che sia un’immagine che parla al cuore.
L’attenzione dei devoti e non solo, ma di chiunque posa lo sguardo su questa Miracolosa Immagine, va subito al volto cosi espressivo, nella sua immobilita’ da trattenere lo sguardo d’ognuno e impedire, per un tempo indefinito, che possa distrarsi a vedere altro.
La testa, leggermente alzata e volta alquanto a sinistra, mostra il volto soffuso di un impressionante pallore che, incorniciando gli occhi sollevati e fissi al Crocifisso, induce chi guarda ad un’angosciante compassione.
Le mani giunte nel grembo stringono un fazzoletto, nel petto una Spada trapassa il Cuore. Sul capo una corona di spine a sottolineare il Martirio.
Sembra proprio che lo scultore abbia voluto rappresentare le parole del Vangelo di Giovanni: “JUSTA CRUCEM LACRIMOSA”
La scultura e’ interamente intagliata in un tronco di legno policromo duro, probabilmente cipresso, con cui è stata realizzata l’intera figura ed il basamento. La raffinatezza dell’esecuzione non ha richiesto che una superficiale gessatura per modellare le parti, esaltandone la plasticitĂ  e per estendervi il film pittorico.
La Statua lignea del XVIII secolo viene attribuita allo scultore siciliano Filippo Quattrocchi, in merito non ci sono notizie certe.
L’opera è stata sottoposta a due grandi restauri: il primo a seguito di danni causati dall’urto in una caduta nei primi anni del nostro secolo, ad opera dell’agrigentino Prof . Calogero Cardella (confrate dell’Arciconfraternita dell’Addolorata), il quale sistemò la testa nell’attuale angolatura cambiando gli originali colori della veste viola e del manto bleu, con quelli attuali.
Lo stesso Cardella realizzò delle statue uguali che oggi si venerano a Porto Empedocle, Menfi, Favara e Siculiana
Il secondo nel 2000, ad opera di Giovanni Calvagna di Catania che ha disinfestato e pulito l’intera opera lignea dai segni del tempo riportando alla luce gli originali colori della fodera, e della fettuccia dei sandali, ripristinando la differenza cromatica dei capelli e del velo, mentre gli incarnati hanno assunto la chiarità originale.
Va ricordato che quest’ultimo restauro è stato offerto interamente dai Clubs Service di Agrigento, mentre con il generoso contributo dei devoti si è effettuato per l’occasione il restauro della Tribuna della Madonna di manifattura Serpottiana (Giacomo serpotta).

La Madonna viene portata solennemente in processione solo per il Venerdì Santo.
Nel Maggio del 1952, in occasione del XX° anno di Episcopato del Vescovo di Agrigento Mons. Giovan Battista Peruzzo della congregazione dei Passionisti, che definì la statua: “Opera di mirabile bellezza”, La Madonna venne incoronata Madre e Regina di Agrigento per le mani di S.Em. Mons. Ernesto Ruffini, Cardinale metropolita di Palermo.

Si ricordano solo delle eccezioni.
• Nel 1858 per onorare la liberazione dal colera per opera della Vergine
• Nel 1946, per scongiurare altri pericoli di guerra
• Nel 1948, in occasione delle fatidiche elezioni politiche, per l’ incombente pericolo del comunismo sull’Italia.
• Negli anni 1967, 68, a seguito degli eventi franosi.
• Nel 1995 dopo il restauro e consolidamento del Santuario
• Per il Grande Giubileo del 2000, in occasione del restauro della stessa statua.